I dazi sulle auto sono diventati realtà. Dal parlarne si applicano. La data fatidica è quella del 2 aprile, giorno in cui inizieranno ad essere operativi dazi “permanenti” del 25%. Saranno applicati su tutte le automobili importate negli Stati Uniti.
Lo prevede l’ordinanza siglata da Donald Trump confermando quanto detto in campagna elettorale. Ma coloro che produrranno negli Stati Uniti non conosceranno dazio, anzi avranno sconti fiscali. Il dato fa presupporre una fuga di impianti di grandi marchi negli Stati Uniti. Ma tutto questo ha un senso nella misura in cui resta credibile questo asso governativo. I profeti della globalizzazione conoscono un importante segno di contraddizione ma è non è del tutto scontato che questo imprinting abbia lunga durata.
I brand automobilistici europei sono i più colpiti. L’export auto negli States ha significato più di cinquantuno miliardi di dollari per 784mila veicoli esportati dall’altra parte dell’Oceano.
La notizia dovrebbe far dormire sonni tranquilli ai produttori americani. IN testa a tutti Elon Musk e alla sua Tesla. Esiste grande produzione in Texas, California e Nevada e i concorrenti avranno un sicuro rincaro le sue auto no. Anche i concorrenti del mercato elettrico saranno penalizzati dalle tariffe doganali. Comese non bastasse Tesla usufruisce anche di benefici negli Stati Uniti: sussidi.
A pagarne il prezzo sarà la produzione tedesca e italiana. La scure dei dazi in Germania per l’automotive sarà però più pesante mentre in Italia si annuncia come maggiormente contenuto. Ma i guai arrivano dalla componentistica. Questo perché la catena produttiva italo-tedesca vanno in sinergia.
Bisognerà inventarsi qualcosa per sfuggire al giudizio apodittico siglato con una scure da questa percentuale: venticinque per cento. E tra le invenzioni la meno vantaggiose per il sistema italia consiste nella delocalizzazione per emigrare in America. Sarebbe una conferma per cui le ragioni del capitale non vanno in conformità alle esigenze reali della società.